giovedì 29 ottobre 2009

Un filosofo, un giornalista e altre reliquie

UN FILOSOFO, UN GIORNALISTA E ALTRE RELIQUIE

Mercoledì 4 novembre 2009 - ore 18.00

Museo di arte sacra San Giovanni de' Fiorentini
Via Acciaioli 2 (Via Giulia), Roma

In occasione dell’uscita del loro saggio

Stefano Moriggi e Gianluca Nicoletti

istigati da

Edoardo Camurri

si confronteranno su
Vincenzo Bocciarelli

Dalle nuove "eternità sintetiche" alle reliquie digitali,
dalle protesi fisiche a quelle emozionali,
tra arte e vita, tra scienza ed etica, tra sacro e profano,
tra passato e futuro.

Nel Museo dei Fiorentini sono conservati ed esposti resti di corpi santi, da secoli oggetto di devozione. Nello stesso luogo un maestro della provocazione e un filosofo della scienza dialogheranno sulle “reliquie contemporanee”,

ovvero ciò che resta del corpo modificato da scienza e tecnologia.
Moriggi e Nicoletti – filosofo il primo, tra i pochi in Italia a non demonizzare la tecnica, e giornalista il secondo, acuto cronista del mondo virtuale – presenteranno il loro libro “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” confrontandosi su questioni che da sempre scandiscono la storia dell'uomo,

ma che oggi devono essere nuovamente decifrate.
Dalle nuove reliquie "sintetiche", ritoccate al silicone come nel caso di Padre Pio,

alle immagini digitali della salma di papa Wojtyla, dalla diffusione delle protesi fisiche e di quelle emozionali, passando per cyberbadanti, hikikomori e bambole sessuali:

è proprio nelle pieghe della tecnologia che gli autori trovano la chiave per riabilitare la dimensione "carnale", per molti destinata o condannata a trasfigurarsi in post-umano.

Umani invece resteremo sempre,

ed è la tecnologia la prospettiva in cui leggere la nostra stessa evoluzione.

E non è tutto…
Da gennaio 2010, una mostra e altri eventi collaterali, di cui presto avrete notizia, proseguiranno questo itinerario antropologico, tra arte e tecnica, tra scienza, filosofia e teologia, per scandagliare cosa significhi dirsi umani oggi.


L' EVENTO SU FACEBOOK


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Sironi Editore
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LEGGI L' ARTICOLO DE "IL TEMPO" del 3/11/2009

Scarica qui sotto la locandina dell' evento che vale come invito
(tasto destro e salva sul tuo computer)

giovedì 16 luglio 2009

LE PRIME TRE NARRATRICI EPICHE QUOTIDIANE

Oggi abbiamo consegnato le chiavi della PvP alle prime tre narratrici epiche quotidiane. Le ho scelte per iniziare il test sulla protesi vocale perenne con persone non conosciute e che non si conoscono tra loro. Se vorranno si appaleseranno anche in questo blog, dove possono postare, ma soprattutto racconteranno istanti di epica quotidiana con le loro vive voci.

Qui le ascolterete come Assunta, Elena, Serena. I loro messaggi saranno autonomi o concatenati tra loro, sceglieranno le narratrici, sceglierà la protesi vocale perenne...Non si sa è un esperimento! Il fine del progetto è creare i presupposti per un twitter vocale, tanto per semplificare, vi darò se volete spiegazioni più dettagliate, ma molto trovate nel blog Golemxn .

Pensiamo di lasciare per ora solo donne in questa versione della PvP . Per le sessioni miste esistono anche troppi socialnetwork e vorrei evitare il solito provoloneggiamento che ha determinato la burinerrima eclissi di ogni protesi emozionale.

Da Assunta Elena e Serena, e dalle altre che entreranno, ci si aspetta solo che usino questa macchinetta come il block notes vocale dei loro pensieri folli. Non devono preparatr nulla, non pensarci prima, non studiare...Se volevo letterete poetesse attrici e fughedilegno fini dicitrici mettevo un annuncio sul giornale non andavo a pescare nelle pieghe più riposte delle mie ascoltatrici a cui so mi legano sintomi irreversibili di dissociazione.

APPARSE LE SUONERIE DELLA MACCHINA PER FUGHE DOMESTICHE

Sono misteriosamente apparse le suonerie di tutte le ballate in musica della "MACCHINA PER FUGHE DOMESTICHE". Qualcuno sicuramente ci guadagnerà e non saranno certo gli autori. La cosa devo dire che ci affascina, per la prima volta ci troviamo dentro un meccanismo piraña che ci spolpa appena infiliamo il piedino nell' acqua. Prima ancora che la macchina fosse presentata ufficialmente già era tutta completamente fruibile in rete in alta qualità, ora senza che noi muovessimo un dito qualcuno ha confezionato una bella paginetta per scaricare tutte le suonerie.
Non resta che abbandonarsi alla deriva e aspettare che la macchina si muova con il pilota automatico inserito contaminando, divorando, schiavardando, liberando ogni fuggitiva fuggiasca fugatura fugace.

lunedì 13 luglio 2009

AUTOSTORICIZZAZIONE

Radio24 si sta masticando ben bene Facebook già da parecchi mesi, di certo ancor prima che divenisse la più corteggiata modalità d’ espressione del comunicare contemporaneo. Ancora i giornali non parlavano del social network preso all' arrembaggio dagli italiani come in nessun altro paese al mondo, ma già i nostri radio ascoltatori facevano a gara ad iscriversi a Facebook. E' da aprile 2008 che accetto “amici” tra il pubblico di Radio24, sono quelli maggiormente presi da quell’ ansia furiosa d’ aggregazione che solo un medium così passionale riesce a fomentare. E’ una robusta community di fidelizzati radiofonici, spontaneamente ha fatto crescere una rete di socializzazione attorno agli spunti quotidiani di un programma d’analisi della società e della comunicazione come Melog. Il primo obbiettivo comune è stato quello di articolare una mappa territoriale di possibili luoghi fisici, ossia avamposti concreti costituiti da ascoltatori. Il fine della rete è sin dall’ inizio un comune attacco emotivo all’etere. All’ unisono, da ogni possibile regione italiana. Il pubblico di Radio24, soprattutto nella fascia d’ ascolto mattutina, non era nuovo a derive collettive in aree d’ incontro inconcrete, l' edizione precedente aveva già registrato una simile transumanza di coscienze attive e curiose in Second Life.

Allora il mondo tridimensionale interattivo on line della Linden lab godeva della stessa euforica attenzione mediatica che ora si è accesa su Facebook. Per i radioascoltatori fu una prima occasione singolare e curiosa di confrontarsi direttamente con chi per loro era solo una voce, anche e soprattutto fuori dagli spazi di palinsesto. Per questa attitudine già esercitata dalla punta più tecnologicamente avanzata del pubblico non è stato difficile proporre a primavera una nuova transumanza verso un social networking radiofonicamente rappresentabile. Scelsi Facebook anche se allora Myspace sembrava la piattaforma più trendy e praticata. La struttura dell’ interfaccia era al tempo nella sua prima versione, senza chat e molto più spartana che l' attuale. L' affluenza era molto più lenta e soprattutto non ne parlavano i giornali, tanto che era difficilissimo spiegare al microfono di cosa si trattasse ai meno attrezzati.

Mi posi subito un obbiettivo che aveva lo scopo di caricare di significati esclusivi la partecipazione. Aprii un gruppo chiamato “l' impresa dei mille” e stabilii che il limite dei privilegiati partecipanti sarebbe stato di mille e non più di mille. Cominciai a tenere Facebook aperto durante il programma citando in diretta le osservazioni di chi mi seguiva collegato. In breve quel feedback sostituì per maggiore vivacità e ricchezza di contributo quello tradizionale attraverso gli sms. Inoltre la modalità “upload” di Facebook permetteva di caricare anche direttamente dal proprio cellulare immagini, canzoni auto prodotte, video racconti che il pubblico mi inviava sicuro di contribuire concretamente al programma seguendo sollecitazioni che io proponevo. Questa prima fase ebbe la sua apoteosi concreta ne “La notte della passione” di fine giugno, un raduno nella sede di via Monterosa di almeno trecento persone venute da tutta Italia e altre centinaia dislocate in una ventina di presidi territoriali: le “Altane della passione” dislocate in quasi tutte le regioni italiane, ma anche in Cina, negli Stati Uniti, in Turchia. A settembre abbiamo fatto un passo avanti nell' integrazione radio-Facebook: il programma Melog 2.0 diventa una propaggine della comunità on line che oramai si è allargata notevolmente. Lo strumento principale su cui ho articolato l' interazione è stato il profilo, che oggi ha raggiunto il limite massimo dei 5000 amici iscritti. Trovo che rispetto al gruppo l' interazione sul profilo mi consenta più libertà di “forzare” il sistema rigido di Facebook nella direzione di un blog, ma molto più vivace nell' immediato.

Ogni giorno anticipo il tema della puntata successiva o cerco suggerimenti per nuovi argomenti. Nel giro di un paio d' ore la community reagisce attivamente e comincia a fornirmi spontaneamente delle “storie” necessarie per articolare il talk show in diretta. In più io mi rendo disponibile in rete agli ascoltatori per tutto il tempo in cui per ragioni professionali sono comunque connesso (almeno 7-8 ore al giorno come media). Non ho più nemmeno bisogno di cercare ospiti e esperti perchè è il social network che me li suggerisce. Ho messo assieme un' “Università fantasma”, non ha sede concreta, ma è costituita da un considerevole numero di professionisti, studiosi, ricercatori e docenti portatori di competenze aggiornate e contaminate da esperienze extra accademiche. La vecchia radio ancora una volta è il medium che più facilmente si contamina con il web, riconfermando così la sua fisiologica capacità di “osare”, ma soprattutto di saper rinnovarsi in una continua sperimentazione delle modalità di comunicazione più avanzate.




giovedì 9 luglio 2009

FUGHE INTERCETTATE

Il cd "Macchina per fughe domestiche" era stato annunciato dalle agenzie on line ieri pomeriggio e solo due ore dopo già qualcuno aveva messo fruibile in rete l' intera play list di 14 canzoni, compresa la gost track che avevamo rigorosamente tenuta segretissima.
Non mi sorprenderebbe che l' azione possa provenire da qualcuno ldell' ultradecennale community di radioattivi che mi segue in ogni mia iniziativa, non sarà parso loro vero di condividere immediatamente la macchina per fughe domestiche.
Pazienza l' importante è che la musica circoli, con i fratellli Alemanno ci siamo conosciuti in rete e sapevamo che non avremmo potuto impedire che la rete si impossessasse della nostra fatica. Non ci aspettavamo sinceramente un' "anteprima pirata" a quella che faremo a Viterbo l' 11 sera, ma confidiamo che almeno il cd fisico continui ad essere l'unico accessorio indispensabile a chi voglia farsi tentare dalla fuga domestica.

Da "IL TEMPO" del 9 luglio

Da "AD" di giugno

TUTTO IL RESTO QUI

giovedì 2 luglio 2009

MOLLARE GLI ORMEGGI

La traccia in breve del tema all' ultima prova di maturità era: «Social Network, Internet e New Media attraverso i testi di Bajani e Benkler» Io l' avrei svolto così:

La fase più recente del social networking è una gara collettiva a mollare gli ormeggi, oltre ogni barriera generazionale. E' sempre più frequente un uso diffuso a praticare robuste relazioni incorporee, anche in chi ha sempre avuto resistenze a frequentare il web. La modalità stessa dell'interazione attraverso Facebook, Twitter e sistemi analoghi facilita la conversione anche dei più scettici. Ogni invito all'astinenza digitale è debole, le macchine che ci imprigionano al rigore del lavoro sono spesso le stesse che, allo stesso tempo, ci suggeriscono la via per evadere. Temo che sarà una battaglia improba quella di chi vorrebbe arginare l'emotività multitask, è una singolarità mai provata dagli umani quella di sentirsi espansi a dismisura, pur restando ancorati ai propri microcosmi abituali. Il potere di fuoco di un medium partecipativo è infatti spesso usato al minimo, si cercano connessioni nel raggio del proprio ufficio, della propria città o poco oltre. E' quasi una fase adolescenziale che corrisponde alla scoperta di altre possibilità di relazione, perchè non basta più quella limitata dal nostro corpo. E' pur vero che l'euforia dello strapaese telematico fa spesso dimenticare cautele e salvaguardie del proprio privato, è facile la perdita di senno nel gioco del tag, della riga di status, di foto di case, figli, vacanze, vizi e virtù di cui facciamo gloriosa diffusione. Non sarei però troppo severo verso le sventatezze degli immigrati digitali. Per la prima volta una fase dell'evoluzione è visibile in corso d'opera. L'uomo è mediamente consapevole dell'inadeguatezza dei propri sensi organici alle richieste della contemporaneità, così deve abituarsi a convivere con l'idea che la sua futura «release» sia già in corso di progettazione.
«La Stampa» del 26 giugno 200

CERCANSI 6 NARRATORI EPICI QUOTIDIANI

Stiamo selezionando sei persone disposte a sottoporsi a un test finalizzato alla seconda fase della sperimentazione della "Protesi vocale perenne " (PvP).Il kit individuale che forniremo è quello che già sta usando Gianluca Nicoletti.
Solamente la pubblicazione avverrà in una pagina mash-up dove saranno impaginati i feed vocali (VocalEt) provenienti dalla pagina di ognuno dei sei "narratori epici quotidiani". Il risultato sarà una giornata inesistente narrata da sei persone che rendono epici loro istanti di vita quotidiana. Insomma sei vite frullate tra loro ne comporranno una nuova che non si è mai prodotta spazio temporalmente, ma si è composta per spontanee aggregazioni.
Seguiremo una storia che si comporrà secondo un classico schema mitopoietico: più storie tramandate oralmente si assemblano nella memoria comune e diventano mito.
La partecipazione è limitata nel tempo, gratuita, volontaria e subordinata alla compilazione di una form d'iscrizione. Non cerchiamo in questa fase professionisti, attori, romanzieri, professionisti del racconto, ma proprio persone che si limitino a immettere a nel sistema almeno due VocalEt sui loro pensieri quotidiani espressi a braccio nell' istante esatto che passano per le loro menti. Dobbiamo fermare attimi, non valorizzare aspiranti poeti.
Partecipa solo chi veramente motivato a contribuire alla sperimentazione che inizierà nel giro di un giorno al massimo. Chi desiderasse partecipare scriva qui sotto.

martedì 30 giugno 2009

I RAGAZZI DI VIA GAETA


Oggi per la priima volta si incontreranno "de visu" i padri fondatori della Protesi Vocale Perenne. Convergeranno davarie parti del mondo a Roma e, per un destino beffardo, nello stesso luogo dove si trova la casa natale di Enrico Fermi. Si potrebbe azzardare che oggi diamo inizio a un progetto "esplosivo" anche se speriamo che non faccia altrettante vittime dell' invenzione di Fermi.
Riassumo il principio per cui oggi cerchiamo di formalizzare il progetto in ogni sua specifica, tecnica, filosofica, grafica. Pensiamo che oramai l' umanità intera sia dotata di un' inetrfaccia inorganica perfettamente e idealmente inserita nel proprio apparato relazionale. Questa protesi emozionale ce l' hanno tutti, dal presidente degli Stati Uniti all' aborigeno australiano, passando per ogni periferia, borgata, slum (forse qui meno...). La stessa protesi ce l' hanno inserita quelli che abitano i palazzo del potere, ogni uogo di delizie, tristezze, paranoie o saggezze.
Troviamo sia molto più razionale portare l' umanità ad accedere alla rete attraverso quello che già ha addosso, ancora prima di pensare devices più raffinate per scrivere, inviare dati ,trasmettere multimedia.
Un telefono e sei in rete, esisti e persisti oltre il logorio dell' evanescenza. Chiunque può parlare e dire quello che reputa importante, saggio, futile o utile a rendere epici attimi della sua esistenza. Noi ci diamo da fare perchè tutto venga messo ben bene in ordine.

domenica 21 giugno 2009

MACCHINA PER FUGHE DOMESTICHE

Qui si mette a disposizione del comune mortale una macchina formidabile. Chiunque abbia serie e giustificate riserve sulla diffusione di questo congegno facilitatore della delizia fugace può qui serenemante esporle.

Qualora ravvisassimo concreti e perigliosi casi che ci facciano ritenere imprudente la libera circolazione di tale macchinario generatore di istanti di disordine controllato, saremo ben disposti a rottamarlo e ritirare dal mercato ogni modello già venduto rimpborsando chi l' avesse incautamente acquistato.

La "Macchina per fughe domestiche" annunciata da bitser Scarfiotti

Il gruppo Facebook della Macchina per fughe domestiche

Il trailer del primo componente della Macchina

lunedì 15 giugno 2009

La vecchia radio nel mondo dei (new???) media

(Per pura necrofilia antologica ripubblico un mio intervento che uscì su Micromega del novembre 98)

"E allora vidi una radio in bachelite colpita da fulmini e saette, da cui fuoriesce il cervello in ebollizione. Una nuova forma di energia stimola e riattiva l'antica macchina delle meraviglie e la riporta a nuova vita. La sostanza cerebro-valvolare vetero-elettronica che schizza dalla pseudocalotta cranica in polimero simil osseo testimonia la nascita dell'ibrido dalla ricomposizione di vari pezzi di cadaveri radiofonici attivati dalla torpedine telematica."

Non provate a chiedere in giro cosa si pensi della radio, tutti ne diranno meraviglie e faranno a gara per infiocchettare banalità del genere: “stimola la fantasia” o peggio “permette di fare altre cose mentre la si ascolta”. Se ad essere interrogato è poi il grande giornalista o conduttore del momento con il telegatto in mano ottenuto per sue video-performance, vi stroncherà sul nascere ogni replica dichiarando che ha iniziato alla radio, ma anche ora che la fama lo lambisce per televisivi cimenti lui vorrebbe tornare a fare qualcosa alla radio… Deve morire! Alla radio non si torna una volta usciti e soprattutto non si fa mai “qualcosa”, anche se in Italia periodicamente il “facciamo qualcosa per la radio!” rappresenta il sussurro ruffianesco di chi pensa di appoggiarsi ad un immaginario pulito e alleggerito dalle imbarazzanti ipoteche di trivialità che ogni iniziativa televisiva comporta. Tanto per darsi un tono in più occasioni qualche maître à penser afferma che la radio va rilanciata. La filosofia sottile che sottende a tale monotona dichiarazione d’intenti è stata spesso quella di chi sa già che il progetto non porterà a risultati esaltanti, ma permetterà di vivacchiare. Si cerca di illudere Cenerentola di poter partecipare al gran ballo di corte con il suo corredo di abitucci rimediati. Nessuno d’altro canto se la sente di pronunciare a cuor leggero la parola ra-dio, sarà per quel “dio” che si nasconde dentro il suo nome, sarà per un passato importante che si intrasente tra livree consunte, scarpette da ballo scalcagnate, dentiere saltellanti.
L’apparecchio radiofonico dell’ascoltatore in via d’estinzione ha impresso sulla scala delle frequenze, con lo smalto rosso delle unghie, il canale che ha scelto per la vita e che resterà tale fino alla fine. Gli altri, detti “il pubblico giovane” fluttuano nell’ascolto ed è comodo ipotizzarli come lobotomizzati totali da nutrire con successi musicali e chiacchiere a tappeto. Su tali reperti umani si articolano le strategie e i programmi.
Un altro pubblico resta fortunatamente invisibile, è composto da chi ama pensare alla radio come ordigno per destrutturare, svelare, minare alla base. La punta più estrema cova l’immagine romantica delle radio pirata. Trasmissioni come atti eroici e rivoluzionari, continua fuga dai gendarmi e ricerca di derive verso momentanei ormeggi nell’etere, solo il tempo di dire: “ci siamo” e poi fuggire per non essere individuati.
Questa genia di insoddisfatti ha l’impressione di ritrovare nella radio la seduzione di un tecnicismo arcaico ed emozionante, un’alternativa all’hi-tech dal nitore inespressivo con cui dialogano per la maggior parte del loro tempo. Nella sua essenzialità spartana la radio crea l’impressione di essere scampata a un naufragio e di rappresentare l’ unico appiglio con il mondo. Può essere collocata in un bagaglio immaginario che assomigli alla fantastica lista del bottino di Robinson, tra barili di polvere e pietre focaie, o nella dotazione di sopravvivenza di un astronauta nel pianeta delle scimmie: in uno zainetto metallico un laboratorio chimico per analizzare il terreno, ma solo mezzo gallone d’acqua.
Esiste un archetipo radiofonico, senza costanti riscontri nell’etere, per il quale la radio non è un mezzo, ma una via espressiva. Una possibilità di assaporare le sfumature del “colore” della voce dei conduttori, giocare sui contrasti e le condivisioni, creare un rapporto esclusivo e personale con l’apparecchio parlante. Il sottofondo che accompagna le giornate di molti proviene piuttosto da una radio intesa come muro con permesso d’affissione. Chiunque, pagando, può incollarci la propria locandina. Si pubblicizzano prodotti di consumo con frequenza talmente alta da elevare lo spot a testo essenziale della programmazione, come snodo ineliminabile tra un pezzo musicale e l’altro. C’è da dire che ciò non sempre rappresenta un limite assoluto, è di gran lunga preferibile il mantra che loda le deità-prodotto all’agnosticismo verbale degli intrattenitori.

Il passaggio/trapasso televisivo

Con un telefono chiunque può condensarsi in una voce che si muove in un tempo di ascolto ed entrare nella macchina delle meraviglie, ci entra con pieno diritto e con tutte le caratteristiche che permettono di vivere in quell’universo. La pseudopartecipazione televisiva è solo un pallido tentativo di emulare il rapporto radiofonico tra chi interviene e chi conduce. Il collegamento via telefono in tv è stata copiato dalla radio che ebbe la sua idea più fulgida nell'aprire i programmi alla comunicazione di ritorno. In televisione naturalmente l'interazione è assai più povera per lo specifico del mezzo che privilegia l'immagine rispetto al valore della parola. Per questa ragione la telefonata in tv è stata relegata all'ambito del giochino a premi, perdendo quella caratteristica di presenza paritaria "in scena" che invece fu una vera innovazione per la radio. Ciò accadrà fatalmente fino a quando non sarà messa a punto un' idea forte di programma che "metta in scena" il pubblico da casa o da qualsiasi altra situazione quotidiana facendolo entrare in un grande spettacolo collettivo, semplicemente attraverso una tecnologia, che si presuppone diverrà di uso comunissimo entro pochi anni. La conquista alla portata di tutti della grande ribalta rappresenterà forse un sogno realizzabile quando i telefonini cellulari trasmetteranno e riceveranno anche l' immagine di chi parla. Allora forse si fonderanno gli interessi dei produttori e dei teledipendenti e collimeranno meravigliosamente affari e sogni di visibilità televisiva, posso ragionevolmente pensare che ciò potrebbe rappresentare una svolta notevole riguardo al contributo che il pubblico potrebbe dare a un programma tv, ma soprattutto una fondamentale realizzazione della più profonda giustificazione della televisione come un luogo di rappresentazione in cui si muovono alias elettronici, vale a dire esseri umani i cui atomi si mutano in pixel. Chi ambisce a una visibilità televisiva, seppur come semplice interlocutore, cessa di essere arbitro del proprio agire, ma entra in una rampa di lancio che lo porta velocemente e in maniera del tutto indolore alla metamorfosi. L’esito del passaggio-trapasso sarà una copia bizzarra del prototipo che, per la sola ragione di essere stata creata nel luogo della massima visibilità, gli farà ombra fino a sovrapporsi completamente a lui in fattezze completamente distorte rispetto all’originale. Purtroppo la memoria televisiva non ha, se non in un atto di fede dei suoi cultori, caratteristiche di realtà assoluta, non è possibile attribuire a una scala oggettivamente riconosciuta di qualità proprie dell’ umano, un suo corrispondente nel mondo delle ombre della televisione.
L’estrema distorsione televisiva fa sì che i sentimenti e le doti intellettive possano essere simulati e rappresentati risultando alla fine assai più convincenti che nella realtà.
Radio dovrebbe significare, al contrario, convenzione, reciprocamente sottoscritta con il suo fruitore, di entrata nel vivo della realtà, esplosione dell’essenziale. La radio potrebbe avere la forza fulminante dell’apologo Zen che squarcia il torpore e disvela l’assoluto, rispetto al pomposo rituale di una liturgia televisiva celebrata per antichi dei ormai ritirati dalla vista degli uomini. Quasi tutta la tv è figlia della radio, pesantemente saccheggiata delle sue invenzioni stilistiche dai media più giovani. La radio, che oggi si presenta come una tv non vedibile, è indubbiamente il risultato è un ibrido abortito, un tendere a modalità stilistiche che la fanno regredire anziché arricchirla. La radio deve considerare un privilegio ineguagliabile la sua cecità nel regno dell’immagine, l’emissione radiofonica ancora di più dovrebbe assimilarsi al vaticinio, alla visione oltre l’apparenza di chi, in assenza di luce, ha sviluppato sensibilità straordinarie.
L’orgoglio della rarità rafforzerebbe nella radio la sua fisiologica trasgressione, mentre l’esito finale della tv sarà il suo dissolvere il reale nell’uniformità, morte delle differenze, morte delle dialettiche, fine dello scambio, il grigio dell’omologazione renderà non più percettibili le vette dalle depressioni. Per questo forse la radio è fortemente elitaria, privilegia l’individualismo sfrenato, premia la presunzione, il narcisismo, il disprezzo per gli usi comuni e i linguaggi unificanti. La tv ha la logica dell’immersione, chi la segue deve essere teletrasportato all’interno del teatro dell’evento. L’ansia del trapasso tiene incollati. Vista la spiccata ambizione da parte dell'umanità di mantenersi in memoria, di restare in vita passando in televisione la propria faccia, le proprie aspirazioni, la propria vicenda, possiamo affermare che il sistema della comunicazione, organismo integrato di vari componenti, altro non è che una macchina emotiva finalizzata alla sopravvivenza ed esistenza, uno strumento fittizio, un concretizzatore di velleità. La radio, orpello tra i più insignificanti del meccanismo, ma non per questo indifferente, rappresenta l’antica amante a lungo praticata, ma attualmente solo spettro di passioni remote. La si vagheggia in nome del passato anche se nel presente nessuno vuol frequentarla. A meno di celebrarla in nome di una passeggera moda per il suo essere meravigliosamente retrò che ostenta in verità un gran retaggio; per questo molti amano parlarne come il primo amore, ma oltre non vanno. Scoperte, riflessioni e anticipazioni vengono offerte dai maestri di pensiero ai canali di diffusione meno raffinati, ma più adatti a trasformare il frutto del loro ingegno in merce e visibilità personale.
La radio uccide e annulla in partenza l’effetto “surrogato di memoria” che la televisione usa come suo elemento fondante. In questo particolare momento, sotto forma di nostalgia, alimenta la necrofilia verso le icone svampite dei suoi decenni di storia. Si costruisce un passato per sopravvivere e continuare a promettere sopravvivenza, flebo di formaldeide ad ogni passaggio. La radio deve invece proporre la sfida del vuoto a perdere, dell’atto gratuito, del passaggio senza ritorno. La radio non regala, semmai toglie, mina, mette in pericolo e questa è la sua caratteristica risolutiva. La parcellizzazione dell’attimo televisivo attraverso una moltitudine di figure professionali lo congela nell’artificiosità pura, nel simulacro immobile di ogni passaggio vitale. Si perde in tv il senso dell’atto, nessuno si muove liberamente, ma si riduce a esito di un sistema complesso di coordinate che ne delimita (e attesta) l’esistere. La radio può essere proposta proprio come esperienza completamente diversa, alla radio si va per nascondersi al mondo, la radio separa il nostro pensiero dalla mimica facciale, la radio chiude il circuito, rimbomba nelle orecchie di chi parla, resta dentro. La parola si confronta continuamente con l’animo che l’ha generata, ma allo stesso tempo fugge immemore a seppellirsi nell’etere.
Carlo Emilio Gadda ci ha lasciato delle regole auree per redigere un testo radiofonico, da anni alle “inderogabili norme e cautele...” [1]si ispirano gli spazi più importanti della radio, oggi di quel decalogo occorrerebbe fare un rogo rituale. Rispettabili principi, ma appartengono ad un’altra epoca e un’altra radio, oggi la radio può solo occupare gli interstizi della grande muraglia della comunicazione globale, ma essere dirompente ed esplosiva una volta passata oltre. Lo schema ucciderebbe il concetto che deve sortire libero su sollecitazione del desiderio di esplosione del pensiero. Perché ciò accada il rapporto con la radio deve essere del tutto sciamanico, quasi una sorta di trance medianica per l’operatore radiofonico, in totale antitesi con i testi precotti e i “gobbi” incombenti in ogni angolo di studio televisivo. L’oltraggio al sacro testo gaddiano va preso come un impegno di deregolamentazione, di smarrimento del filo logico che vuole semplificare la realtà. Mentre da un lato l’ansia televisiva segue l’imperativo di sciogliere ogni complessità, decodificare ogni aspetto del quotidiano, aggiungere sottotitoli esplicativi anche a ciò che appare lampante in una sorta di karaoke permanente. La radio dovrebbe riappropriarsi del fascino della parola di passo, dei linguaggi segreti, del gioco intellettuale. Avere il coraggio di essere impopolare imponendo uno sforzo minimo per essere decifrata, un risveglio vitale dallo stato catatonico della visione tv.

Strumento antagonista

La radio dovrebbe costituire il nesso labile per nuove tribù dissidenti, ma non è assolutamente detto che queste debbano per forza connotare il loro dissentire con segni esteriori d’appartenenza. Si pensi al logorio fisiologico degli “antagonisti-professionali” nel dilemma se stare dentro o fuori dal sistema di riproduzione del reale da cui più sono indefinibili più vengono braccati. Valga l’esempio della rapida stagione mediatica degli squatters,[2] neutralizzati dal termine che li definiva. O peggio ancora la mania di un'estate che ha glorificato il coattismo romanesco di "Er Piotta"[3]. Essere definiti equivale ad essere finiti. Per appartenere alla tribù dei radiomani sarà sufficiente la fedeltà a una voce di cui meglio sarebbe non conoscere il volto, condividere una mania, essere delatori di se stessi e in subordine degli altri. Fuggire dall’imperio della comprensione a tutti i costi, della compassione, della compartecipazione. Essere folli spietati ed egoisti. Questo senza che nessuno lo rinfacci, o ne imponga un mascheramento ipocrita.
Il regno della riproduzione, la serialità televisiva delle opinioni, come delle idee e delle singolarità, lascia larghi spazi alla radio che non dovrebbe (e oramai non potrebbe anche volendo) cercare l’accesso ai grandi numeri, seguire le tendenze, articolarsi sulla frequenza delle grandi mode. Lasci la radio questi spazi e apprenda la navigazione al limite del controcorrente. La partecipazione alla radio crea il senso di carboneria proprio per essere il mezzo stesso fisiologicamente antagonista, la radio ritrova, come un sopravvissuto, i propri affini che pensava estinti. Quanti si erano persi nel mare oleoso degli opinionisti e spiritosoni che arginano la realtà nei confini labili del loro successo di visibilità hanno avvistato un’isola sulla quale ricominciare da capo. Ci arrivano con mezzi diversi e attraverso differenti tragitti personali, ma hanno compreso che c’è la possibilità di esprimersi a dispetto di ogni ufficialità. Il loro linguaggio può anche sembrare a tratti criptico, ma è palese il piacere d’inventare parole rimescolando quelle troppo usurate. Si guatano e annusano dalle caselle di posta elettronica, dai luoghi d’incontro telematici, magari rubacchiando tempo e risorse al proprio lavoro in ufficio. Hanno in sommo dispregio la “cyberfighetteria”[4] con il microprocessore all’occhiello, il loro approccio alla tecnologia li rende più affini ai vecchi radioamatori e mistici del radioascolto.

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In un esatto momento in cui l’importante
è riempire, aspirano al vuoto.
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Le tribù dei fedeli alla radio chiedono di scoprire, al suo interno, cornici adeguate ai loro pensieri inespressi. Non sarà mai possibile che l’umanità si senta totalmente rappresentata dal dissenso a favore di camera delle telepiazze o dalle cronache tracimanti in fiction dei belli e delle belle mesti o sorridenti, ilari o accigliati alla velocità di un mutare di frame?
Ci si è mai chiesti come mai sia così diffuso l’avallare il principio essenziale della civiltà dei media per cui le qualità di un individuo siano non quelle oggettivamente riconosciute, ma piuttosto quelle che l’apparato a questi attribuisce? Tutti concordi sul fatto che la vita si articola realmente nel mondo della riproduzione, ma allo stesso tempo consapevoli che il pensiero non trova le sue elaborazioni più originali nei santuari dell’immaginario scalettato e scandito dalle inquadrature o dai centimetri a disposizione su una pagina di quotidiano. Forse perché pesa su tutto e tutti l’immensa responsabilità di appoggiare la propria opinione a un supporto che la renda eterna. Tutto rimane e rimarrà presente negli archivi, ogni battuta presa al volo, saggio meditato, riflessione parolibera o facezia resta, noi no, noi passiamo, ma la copia resta e questo non è cosa da poco. Forse una forma più libera e creativa non deve essere ossessionata dalla condanna all’immortalità. Basti riflettere sul fatto che ogni parola regalata al sistema dei pensieri pietrificati potrebbe andare a impolpare il nostro coccodrillo, tutti vogliamo quindi artefare e imbellettare la realtà, come la cosmesi funebre anticipata nel tempo, ma così facendo rendiamo sempre più spettrale il nostro sembiante, morti apparenti prima del tempo regaliamo sorrisi e frivolezze.
Cosa di meglio quindi del vuoto a perdere radiofonico per parlare senza tema di essere ricordati. Quale sfida più moderna esiliarsi alla radio e dare corpo momentaneo, quasi una scultura di sabbia, a tutto l’indicibile.
I pochi che hanno accettato la via di una palingenesi autodistruttiva si concedono volentieri all’ombra della propria voce, altri sono radiofonici per ripiego o trattano alla radio con ignavia. La radio disprezza chi ne fa un uso prudente, lo irride come si fa con un amante parsimonioso. I più parlano alla radio e non si preoccupano di sondare oltre i limiti che essi stessi si impongono.
Fieri delle loro cautele vivacchiano in un limbo perenne, con la speranza di essere, prima o poi, accolti in empirei, secondo loro, più gratificanti.


[1] Cfr.Carlo Emilio Gadda, Norme per la redazione di un testo radiofonico. Edizioni Radio Italiana, Torino1953 (ripubblicato in Gadda al microfono, Nuova Eri, Torino 1993).
[2] "Ragazzi in cerca di spazio sociale, artisti ed extracomunitari, anarchici e fuggiaschi (…)”.Cfr. Renzo Paris, Squatter, Castelvecchi, Roma 1999 dove si fa la storia di una parte dell'Autonomia romana. L'esperienza più nota alle cronache è però quella nata a Torino intorno a radio Black Out. Cfr. Ascolta questo libro, leggi questa radio, Radioproduzioni Blackout, Torino, No Copyright.

[3] Tommaso Zanella, in arte Er Piotta, rapper romano che raggiunse apici di gloria nell'estate 1999 per il suo Supercafone.
[4] Sulla fenomenologia del cyberfighetto ci sarebbe molto da dire, anche perché l'abbiamo spesso evocato alla radio. Basti sapere che lo immaginiamo con un lap top ricoperto di radica entusiasmarsi per il suo cellulare che lo collega anche all' Internet.

domenica 14 giugno 2009

Disputa tra smanettologi e vocalisti

"Gianluca, dire che "nulla è più immediato che parlare" manda a puttane 2500 anni di riflessioni sul linguaggio, che tutto gli puoi dire, ma non di essere "immediato", pena la contraddizione in termini. A meno che, per colpa delle tastiere, non mi sei diventato un nostalgico dei bei tempi della nonna, quando non avevamo altro che la voce per comunicare ed eravamo tutti analfabeti. Ma comunicavamo più immediatamente? Ho i miei dubbi

A parte il tono pixellato che ricorda la voce del Golem, quel che vedo è una mappa borgesiana uno a uno. Se non si può taggare e "resta voce", ha perduto la sua connotazione "social" o deve rimediare con il "vecchio mezzo" della scrittura, come facciamo in questi commenti. (…)

Anche il richiamo alla "burinaggine" di Fb mi pare indicativo del progetto, chiaramente neo-elitario (non che la cosa mi scandalizzi, tutt'altro) ma forse è questo insegure l'elite in un mezzo che d'elite non è che mi pare frustrante." (Piero Vereni)

Non son qui a contrastare il passatismo dei nostalgici del cyberpresente, che la verità non sia data dalla velocità non l' ho mai detto. La velocità è qui sinonimo di semplicità d' interfaccia, non è da tutti un Blackberry a portata di mano o protesi simili. Quando diciamo che la PvP è un sistema immediato significa chiaramente che pubblica on line in minor tempo e senza bisogno di apparati complessi. Chi parla con la Pvp è all' istante on line, anche se fosse un totale incompetente digitale

Non è giusto che la smanettologia sia la sola virtù che stabilisca la gerarchia del pensiero in rete, occorre che si ripristino scale di valori oggettivi svincolando capacità di elaborare pensiero da altrettanta attitudine a trasferirlo in rete. La PvP vorrebbe abbattere in parte il tentativo diffuso di mistificazione sull' identità. Una voce più che un testo e una foto alterata rivela genere, età, latitudine di provenienza, cultura e reale elaborazione del pensiero.

Una frase pronunciata rivela identità e offre profondità. Esattamente l' opposto di chi in rete simula identità e profondità con pipparolesche evoluzioni copincollate. A me tutto questo socialculto ha un pò saturato. Non mi pare che l' ipertaggazione stia portando a risultati esaltanti, se non nella direzione del labirintico e affastellato.

Mi pare che comunque il così detto web2.0 abbia espresso già una sua èlite; è quella dei suoi esegeti e commentatori. La PvP vorrebbe rompere il ciclo dell' autoalimentazione mediatica, anche chi non si presenta come esperto di web ha diritto di cittadinanza nel web.

La PvP come si presenta ora non fa testo, è solo una sperimentazione tecnica dell' applicazione, l' idea che segue è quella di un medium a impatto mentale zero e semplificato nella pubblicazione. Non trovo che nulla sia più facile e immediato che parlare, la voce ce la portiamo sempre con noi, tastiere e affini sono già un' interfaccia complessa rispetto al semplice aprir bocca.



mercoledì 10 giugno 2009

Il Tavernello dell' intelletto



Domani dovrei parlare di web assieme ad amici, alcuni morti altri ancora in vita, ma che noia però! Non ne posso più di far parte dei teorici del webpuntoqualcosa , siamo sempre tutti convinti delle proprie avanzate visioni, ma nulla è più passatista delle incrollabili certezze.


Perchè ancora esistono persone che si qualificano: "esperti in nuovi media" o peggio ancora "massmediologi"? Anche a me spesso accade di essere chiamato così e provo disagio perchè significa essere considerato un reperto archeologico. Non c'è più nulla di nuovo o di alieno rispetto al quotidiano nel mondo Internet, a meno che non si voglia andare a fare i venditori di pentole per le piazze di paese non servirebbe veramente più fare incontri e convegni sul web e affini.

Alla fine è/siamo sempre la stessa compagnia di giro che dice sempre le stesse cose infarcite di reducismo e approssimazione. Nessuno rinuncia chiaramente a una qualifica gratificante conquistata con così poca fatica, per me equivale a essere considerato un esperto dei soldatini con cui giocavo da bimbo in un mondo in cui giocare ai soldatini sia considerata un' attività fortemente innovativa.

Penso veramente che non esista nulla nel campo della comunicazione che possa essere considerato una disciplina esatta. Come ne esco da questa contraddizione autobiografica? Restando dentro e fuori allo stesso tempo?
Sto al gioco, girello e raggranello, ma non mi compiaccio e vocalmente taccio. Essere stato il Tavernello dell' intelletto sarà sempre meglio che essere mai esistito.


Morire non è un motivo sufficiente per non presentare il proprio libro

In occasione della pubblicazione del volume "IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0" di Fabio Metitieri un incontro con Stefano Moriggi, Gianluca Nicoletti, Andrea Rossetti. Coordina Chiara Ceci.
"In un internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più valutarne l' attendibilità.
E' il prodotto dell' ideologia del Web 2.0- quello di blog e social network- che preconizza la scomparsa degli intermediari dell' informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari, agli editori, presto sostituiti dalla "swarm intelligence" l' intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il "mondo web 2.0" dove nessuno è tenuto ad identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene le responsabilità, realizza davvero un segno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa?

Non solo. Sul web la vita digitale si espande oltre la vita biologica. E' il caso dell' autore di questo libro scomparso qualche tempo fa, ma presente in rete, nei suoi blog, nel suo profilo su Facebook, nel suo avatar di Second Life...Nella nostra presentazione. Una quasi "eternità digitale" che nessuno mai andrà a rimuovere perchè non ne possiede le password.

Giovedì 11 giugno alle 18.30 Aula Magna del Museo di Storia Naturale, corso Venezia 55 Milano.

Fighetterrimo link facebukkiko

lunedì 8 giugno 2009

Io, periferica vivente

Seguo poco e male, colpevolmente, le evoluzioni di Gianluca, che so peraltro andare sempre nella direzione migliore.Come quest'ultima. Incuriosito da Andrea, stamane ho ascoltato i due suoi ultimi messaggi (?) postati (?) dalla metropolitana. Già, come li definiamo? Non saprei, Ma, anche, non importa. L'ovunquizzazione della radio è cosa matura. Bravo lui ad averla fatta. ( Dario)

...e così ecco che Gianluca Nicoletti tira fuori dal cilindro un altra sorpresa. Quale sarà il futuro della radio dopo la sua morte? E quale il futuro di internet e del social network? Ebbene, la risposta è nello stesso Gianluca! La protesi orale rende l'uomo periferica vivente e conferisce eternità al quotidiano legando iltelefonolatuavoce alle nuove tecnologie. Ecco, quanto preconizzato dagli autori di Jeeg Robot e da Bioy Casares ne "L'invenzione di Morel" si è realizzato oggi: nel giugno 2009 nacque l'uomo radio! (Rial)

(due messaggi al post di Radiopassioni che parla della PvP)

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La radio è già morta, da molti anni. La radio però è anche splendidamente risorta. Sapreste rappresentare una radio nel suo hardware? Non esiste più la radio, se non nell' iconografia del suo passato storico. Esiste la radio d' epoca, esiste la radiolina gadget , esiste il luogo fisico dove si produce radio, esiste il brand di una radio, esiste "la radio" come consumo mediatico che viene monitorato e valutato...

La radio come oggetto a sè però è sparita dall' immaginario quindi è irrappresentabile. In realtà la radio esiste eccome, ma ha lasciato la sua crisalide come se fosse un guscio che non le serve più, è sonorità allo stato puro è voce e suono che attraversano l' etere, è un file sonoro ascoltabile attraverso altre mille modalità che l' apparecchio radiofonico. La radio io l' ascolto nel cellulare, attraverso la tv, via streaming dal computer, l' ascolto ovunque, ma sempre meno da un apparecchio pensato solo per contenere la voce della radio.

La radio è al momento il più metafisico dei medium, è quello dunque che meglio può evocarci.


domenica 7 giugno 2009

Il senso dominante

Perchè mai una protesi vocale perenne potrà esser lo strumento più consono a supportare l' umanità desiderosa di espandere e velocizzare le proprie connessioni? Perchè quello dell' udito sarà il senso dominante dopo la lunga fase dell' ipervisione totale. Lo profetizza da tempo Daniele Pitteri, un acuto sociologo specializzato nei linguaggi della pubblicità.

Probabilmente – seppur con apparente lentezza – l’umanità sta uscendo dall’epoca in cui la vista è stata il senso dominante e, contemporaneamente, si sta avvicinando (anzi per certi versi vi è già entrata) ad un’epoca in cui sarà l’udito ad acquisire un progressivo predominio sugli altri sensi.
È come se negli ultimi vent’anni la nostra capacità di vedere fosse giunta rapidamente alla soglia di saturazione, forse perché – ma questo richiederebbe un ragionamento molto lungo – è stata sottoposta ad una frequenza di stimolazione sempre più intensa, tanto da offuscare la naturale capacità degli uomini di operare delle distinzioni attraverso la vista.
L’uomo ha bisogno, arrivato ad un certo grado di saturazione, di trovare forme di rigenerazione, cosicché un poco alla volta pare che stia affiorando una nuova capacità di intendere il mondo e che questa nuova capacità sia guidata dall’udito, un senso la cui costante acquisizione di importanza ha seguito – con uno scarto di alcuni secoli – più o meno lo stesso percorso che ha consentito alla vista di divenire il senso dominante.
Si è trattato di un susseguirsi, a intervalli sempre più ravvicinati nel tempo, di nuove modalità di comunicazione, di nuove sensibilità estetiche, di nuove tecnologie. Un lunghissimo processo che ha iniziato una progressiva accelerazione a partire dal tardo rinascimento, epoca in cui gli strumenti musicali hanno cominciato ad evolversi e a divenire più complessi e sofisticati e che dall’Ottocento in avanti ha coinvolto, con il melodramma, masse di persone sempre più vaste. Poi c’è stato il telefono, poi c’è stato Caruso, i primi grandi successi discografici, la radio, il rock’n’roll, il jukebox, il dolby, il walkman, il cellulare.


tratto da "L'intensità e la distrazione" (Franco Angeli 2006) nel capitolo "Frequenze vocazionali"

Diciamocelo a voce....

Immagino che lo sviluppo del socialnetworking possa avvenire attraverso un canale diverso rispetto alla forma testuale. Prima ancora che scrivere mandarsi foto e filmati la maniera più semplice e immediata alla portata di chiunque è la voce e quindi perchè non spostare tutto a un accesso vocale al web?

Io per ora mi limiterò come qui sopra vedete a creare una radio senza radio, vale a dire un programma simile a quello che faccio da 25 anni, ma personalizzabile e fruibile ovunque senza necessità di avere un apparato concreto che lo produca e diffonda. Tutta la radio è nel mio apparato fonatorio e nel server che ne raccoglie e ridistribuisce all' istante messaggi vocali.

Io inizierò domani a trasmettere h24 mandando più messaggi possibile durante il giorno con note, riflessioni, osservazioni ecc. Insomma la mia giornata professionale articolata come fosse un programma. Il sistema mette tutto in sequenza e lo rende palinsesto mobile e modulare.

Tutto è stato assemblato in tre giorni assieme a un amico ingegnere e un' amica art director. Passata la fase 1 inizieremo a proporre una protesi vocale perenne anche ad altri, penso che la relazione vocale abbatta molte delle perplessità e possibilità di mistificazione proprie delle relazioni on line.
La voce rivela subito sesso, età, elaborazione del pensiero, latitudine di provenienza, status sociale. La voce non inganna, ma aggrega in maniera più immediata, basta grafomani e virtuosi del copia incolla poetico e seduttivo....fatevi sentire se avete coraggio, altrimenti nascondetevi dietro nik name, foto paracule e fraseggio da geometra erudito.

L' accesso attraverso la protesi vocale è immediato e assolutamente a prova di imbranato. Mia nonna potrebbe pubblicare nel web dal telefono di casa sua senza nemmeno sapere cosa sia Internet. Ognuno può lasciare traccia di sè, testimonianza immediata di uno stato d' animo, racconto di un istante mentre lo vive. Questo senza cercare di collegare interfacce e devices complicate o difficili da usare per chiunque.

Il progetto potrebbe progredire in un' infinità di direzioni sia nel campo dell' ingegneria gestionale che in quello delle relazioni sociali. Io potrei fare un' intervista e vederla pubblicata all' istante, potrei trasmettere quello che ascolto per strada, in qualsiasi luogo e durante qualsiasi conversazione. Tutto si pubblica all' istante. Io potrei assemblare e ordinare per generi storie e flussi vocali che vengono da altre persone. Io potrei fornire caselle vocali per amanti clandestini che vogliono fuggire dall' ambiguità di sms e telefonate camuffate. Si dicano tutto quello che pensano dell' altro durante la giornata e si riascoltino il loro poema d' amore in loop tutte le volte che vogliono. Loro invecchieranno la protesi perenne conserva i loro sospiri migliori. Insomma un' infinità di usi dall' estremamente etico al miseramente libertino.

Credo molto come più volte ho scritto nell' evoluzione del libro in strumenti che favoriscano l' autoletteratura immersiva. Ognuno diventa un libro parlante giorno per giorno di cui è trama, protagonista, voce narrante, testo, supporto e editore allo stesso tempo. La bloggheria pugnettosa e arrogante ci fa un baffo! Bé se a qualcuno andrà di starci dentro si faccia vivo e mandi un segnale.

aggiornamento ore 19.21
Ecco si è fatto vivo Andrea Lawendel; dice che mi sono fatto radio>>>

Radio riesumata? No risorta...

IL POTENTE E TERRIBILE MAGO DI OZ E' SOLO UN OMETTO NACOSTO IN UNA MACCHINA CHE GLI AMPLIFICA LA VOCE

Questa è robina sulla radio che scrissi alla fine degli anni 90. L' ho sintetizzata e riassunta per dare un po' di profondità all' esperimento. In fondo quello che facciamo qui è figlio di un pensiero antico, almeno per me.(gn)

Tutto il cammino di Golem inizia alla radio e alla radio ritorna dopo contaminanti incursioni, Forse per voglia di revival o necrofilia latente, si parla ogni tanto ancora di radio: la si draga, scandaglia analizza…vedi mai che ci fosse qualcosa di nuovo da dire mentre la tv langue in un profondo appannamento d' immagine, stretta tra l'attesa messianica di nuovi talenti che ne svecchino le scuderie e la riproposizione assillante dei suoi figli scemi o dei loro cloni. La radio ha già saputo mettersi in discussione come simulacro cimiteriale della nostalgia e sgusciare dai polverosi luoghi del confortorio domestico, delle crisi climateriche, delle canzonette di sottofondo o, al contrario, dalle simulazioni giovanilistiche di ultra cinquantenni dalla pessima tintura.

La radio colga l'attimo e si attrezzi, le voci della radio si espandono tra i meandri del web in espressività che vanno oltre il semplice ascolto., la radio può creare per paradosso il fascino della tecnologia a basso livello. Con la meccanica lievemente obsoleta di un giocattolo d'altri tempi ritrovato in un baule, la cara radio, riesce ancora a darci sorprese e fascinazioni Un atteggiamento che ha nel suo dna più di ogni modernissimo ordigno comunicativo.

La radio, semplicissimo apparato domestico, può spesso andare molto oltre chi viaggia grazie a sempre nuove e più potenti trasformazioni ed elaborazioni di un' idea che diventa voce. In totale contraddizione con una pluridichiarata vocazione all'evanescenza inizio qui a sperimentare uno strumento di automitizzazione del proprio quotidiano. Potrà essere utile o solo futile, ma chi se ne importa! Chi vorrà presto potrà bearsi di saper affidata alla storia (una delle tante) ogni propria alienazione. Quelli che hanno solo assaporato e sbirciato dal proprio apparecchio radiofonico ciò che si decideva far loro ascoltare ''dall'altra parte" potranno finalmente avere soddisfazione delle loro più inconfessabili curiositàenti

Con un telefono chiunque può entrare nella macchina delle meraviglie, ci entra a pieno diritto e con tutte le caratteristiche che permettono di vivere in quell’universo, condensarsi in una voce che si muove in un tempo di ascolto. La radio potrebbe avere la forza fulminante dell’apologo Zen che squarcia il torpore e disvela l’assoluto, rispetto al pomposo rituale di una liturgia televisiva celebrata per antichi dei ormai ritirati dalla vista degli uomini,

Per questo forse la radio è fortemente elitaria, privilegia l’individualismo sfrenato, premia la presunzione, il narcisismo, il disprezzo per gli usi comuni e i linguaggi unificanti. La tv ha la logica dell’immersione, chi la segue deve essere teletrasportato all’interno del teatro dell’evento. L’ansia del trapasso tiene incollati. Vista la spiccata ambizione da parte dell'umanità di mantenersi in memoria, di restare in vita passando in televisione la propria faccia, le proprie aspirazioni, la propria vicenda, possiamo affermare che il sistema della comunicazione, organismo integrato di vari componenti, altro non è che una macchina emotiva finalizzata alla sopravvivenza ed esistenza, uno strumento fittizio un concretizzatore di velleità.

La radio, orpello tra i più insignificanti del meccanismo, ma non per questo indifferente, rappresenta l’antica amante a lungo praticata, ma attualmente solo spettro di passioni remote. La si vagheggia in nome del passato anche se nel presente nessuno vuol frequentarla. La radio uccide e annulla in partenza l’effetto “surrogato di memoria” che la televisione usa come suo elemento fondante. In questo particolare momento, sotto forma di nostalgia, alimenta la necrofilia verso le icone svampite dei suoi decenni di storia. Si costruisce un passato per sopravvivere e continuare a promettere sopravvivenza, flebo di formaldeide ad ogni passaggio. La radio deve invece proporre la sfida del vuoto a perdere, dell’ atto gratuito, del passaggio senza ritorno. La radio non regala, semmai toglie, mina, mette in pericolo e questa è la sua caratteristica risolutiva.

La radio può essere proposta proprio come esperienza completamente diversa, alla radio si va per nascondersi al mondo, la radio separa il nostro pensiero dalla mimica facciale, la radio chiude il circuito, rimbomba nelle orecchie di chi parla, resta dentro. La parola si confronta continuamente con l’animo che l’ha generata, ma allo stesso tempo fugge immemore a seppellirsi nell’etere.

Cosa di meglio quindi del vuoto a perdere radiofonico per parlare senza tema di essere ricordati. Quale sfida più moderna esiliarsi alla radio e dare corpo momentaneo, quasi una scultura di sabbia, a tutto l’indicibile. I pochi che hanno accettato la via di una palingenesi autodistruttiva si concedono volentieri all’ombra della propria voce, altri sono radiofonici per ripiego o trattano alla radio con ignavia. La radio disprezza chi ne fa un uso prudente, lo irride come si fa con un amante parsimonioso. I più parlano alla radio e non si preoccupano di sondare oltre i limiti che essi stessi si impongono.

Perennemente radioso

La protesi vocale perenne che mi sono fatto innestare è in una fase assolutamente sperimentale. Al momento ci limiteremo a usarla come trasmettitore di un programma radiofonico che si autogenera senza necessità di una struttura concreta per essere trasmesso.
Io possiedo una voce nota a chi ascolta la radio perchè da 25 anni parlo a un pubblico molto vasto, prima da RadioRai e negli ultimi anni da Radio24. In questo test che farò durare una settimana la mia voce costruirà un palinsesto quotidiano costituito da piccoli moduli di pochi minuti. Racconterò la mia giornata, i miei pensieri, i miei incontri, le mie letture, le mie visioni. Ruberò altre voci, farò partecipare altre persone consapevoli o ignare al racconto vocale.
Grazie al contributo informatico dell' amico ingegnoso ingegnere Nicola Frega e quello grafico della femmina tatuata art director Barbara Berlendis, ogni mio strampalato fraseggio sarà all' istante pubblicato come file mp3 in questo blog, nei profili Facebook dei miei 5000 amici e sarà disponibile per chiunque ovunque in podcast.L' interazione con il mio programma sarà possibile via chat sulla pagina Facebook o commentando i post sul blog o come piffero riuscirete a fare scovando addentellati della mia presenza sul web.Terrò conto degli imput che mi arriveranno, risponderò a domande, esprimerò pareri...Insomma farò in questo ambiente quello che già faccio alla radio, ma senza rete, senza limiti, senza inizio e senza fine h24.
Già dopo qualche ora i miei post vocali ascoltati in loop costituiranno un programma vero e proprio che andrà crescendo durante la giornata.

sabato 6 giugno 2009

POST PROVA

Amici ingegnosi ingegneri calabresi stanno sviluppando un fantastico applicativo che presto sarà disponibile anche qui. So solo che io Gianluca mi discioglierà nell' acido deossiribonucleico di una perenne protesi vocale.
La "Protesi Vocale Perenne" (anche xN) sarà costruita come un ponte sonoro in Facebook. Cercheremo inoltre di generare ulteriori mostruose protesi per innestarle nelle piattaforme più disparate.
Il concept dell'applicazione sarà sempre ecostantemente open-source, quindi ogni contributo verrà gradito ed eventualmente assorbito. Per ora gli ingengnosi ingegneri dell' Università calabrese sono la parte tecnologica hardware e software io sono la cavia su cui si innesterà materialmente l' upgrade post organico, ma servono talenti complementari e varie specificità...
Presto apparirà visibile la pagina dell' applicazione (beta test) su cui ognuno sarà chiamato a portare il proprio contributo ideativo e tecnico per migliorarla e strutturarla.